I – Disprezzo
Diario di guerra, giorno 210. Primo maresciallo Ferrotti.
La vittoria sul nemico è sempre più vicina. Oggi ne abbiamo trovato un altro nascosto tra le grotte: giustiziato. Un soldato semplice si è tolto la vita in seguito all’esecuzione. Novellino, non avevo avuto il tempo di inquadrarlo. Eventualmente non ne valeva la pena.
Il mondo sta girando nel verso giusto. Dio è dalla nostra parte, stiamo creando un futuro migliore per i nostri figli.
Un futuro puro, libero da ogni contaminazione ideologica e razziale. Nessun ebreo, nessun negro o comunista influenzerà le idee del nostro popolo.
II – Amore
Chi l’avrebbe mai detto che predicare la pace mi avrebbe portato alla morte?
Mi chiamo Andrea Poletti, ho trentadue anni. Fin da ragazzo ho lottato per l’eguaglianza di tutti gli uomini, a prescindere dalla loro razza, dalla loro etnia. Questi ultimi sono concetti che non ho mai compreso, in quanto credo che esista un’unica razza, quella umana. L’etnia è solo una scusa per credersi superiore a qualcun’altro e fargli guerra.
Poi, è arrivata. Era nell’aria da molti anni ma nessuno ci hai creduto davvero: che sarebbe successo, intendo. L’estrema destra era data sempre al due, tre percento e non spaventava. C’era questo partito, che raccoglieva voti sulla paura della gente e quindi sul suo odio. L’asticella si è alzata sempre di più, tutto era giustificabile: a parte qualcuno, poco ascoltato, che invitava alla calma e alla razionalità.
Duecentodieci giorni fa, in Italia è iniziata la guerra. La guerra civile. Sono banditi dal paese omosessuali, neri, gialli e tutti quelli che li aiutano a sopravvivere. Hanno messo in mezzo anche gli ebrei e i comunisti, giusto per non perdersi qualcuno per strada.
Sono più armati e più numerosi, più esperti di noi nella guerra. Loro la desideravano da tempo, noi l’abbiamo sempre evitata. Mi ritrovo a scappare, indesiderato, perché vorrei che nessuno si possa sentire mai così.
È sempre stato un mio difetto, quello di credere nell’umanità delle persone.
Mi hanno trovato. Sono in dieci, un pezzo grosso e nove soldati semplici con il terrore negli occhi. Il terrore è il veicolo dell’odio, ciò che da un motivo alla rabbia cieca che gli hanno iniettato, tra programmi tv e dichiarazioni pubbliche basate su notizie false.
Mi fanno inginocchiare, sento la lama accarezzarmi la schiena. Ho il tempo per dire le mie ultime parole e non voglio sprecarle:
signori della corte, mi condannate perché ho ecceduto.
in amore, pace, fiducia
sono andato oltre la media e ho deciso che tutti
meritassero una possibilità.
ora sono qui, senza nessuna possibilità di esprimere desideri
né di chiamare Enea o Margherita
sarebbe questo il migliore dei mondi possibili?
Sento la lama penetrarmi la carne. Non posso vedere il mio boia, mi ha colpito alla schiena, da vigliacco. Per paura di guardarmi negli occhi. Ho freddo anche se è agosto. Sto morendo.
III – Morte
Un vigliacco. Un senzapalle. Mi chiamano così da una vita ed ora che sono arruolato in questo esercito di esaltati non è cambiato nulla. Non ho mai sopportato il machismo e sono finito nella fabbrica principale. Oggi andiamo di nuovo a caccia di Indesiderati, siamo in nove più Ferrotti, il maresciallo. Spero solo che finisca presto.
Ho ventitre anni e non ho mai scopato. C’è qualcosa che non va in me o in loro? Non l’ho ancora capito. Forse sono gay, ma preferirei non saperlo. Dovrei portare una taglia sulla testa come tutti gli Indesiderati che si rifugiano in giro per l’Italia. Loro li chiamano ratti, per ovvi motivi. Serve a tenere dalle distanze da loro, emotivamente. Se li trattano come animali è più facile ucciderli.
Ne abbiamo trovato uno, dice di chiamarsi Poletti. Andrea Poletti. Lo guardo e non riesco a distogliere lo sguardo dalla sua figura. C’è qualcosa che mi turba nella sua espressione: è sereno. Non ha paura di morire, vuole solo parlare prima che sia troppo tardi. Un chiacchierone. Farfuglia qualcosa sull’amore e le possibilità. Poi Di Francesco lo pugnala, alla schiena. Accasciato al suolo, mi fissa con i suoi occhi, dolorosi ma ancora sereni. Lo sento dire:
Lo vedi? Il mio sangue è uguale al tuo e a quello di tutti gli altri.
Ma quando lo capirete, sarà troppo tardi.
Pietrificato, guardo quest’angelo morire. I miei compagni ridono, tutti. Hanno paura della morte e la fuggono in questo modo, ridendo di essa. Io vorrei ucciderli tutti, questi bastardi, pestare con lo stivale i loro ghigni. Mi rendo conto che sarebbe comunque inutile, ormai sono tutti delle copie: mille, milioni di ragazzi sono pronti a sostituire i compagni morti in battaglia, nella guerra più giusta di tutte.
Non cambierà più nulla. Ci uccideremo tutti, presto o tardi. Sarà un massacro. Dopo i comunisti, i negri e gli omosessuali servirà un altro nemico. È ovvio, ne abbiamo bisogno.
Inizio a spogliarmi, tolgo tutto e lancio ogni cosa lontano dalla mia vista. Nudo, prendo il fucile in mano e sussurro:
Avrete sempre bisogno di un nemico, perché la pace è per i froci.
Oggi però, ne perderete uno, perché vincerete pure la guerra
ma la mia battaglia non la perderò.
Punto la pistola al cuore. Il mio.
E sparo.